Si terrà domenica prossima, 11 giugno alle 10.30, allo Spazio delle Arti “La Soffitta” di Colonnata l’inaugurazione della mostra “Maria Rina Giorgi, opere 2021-2023”. 

Al taglio del nastro saranno presenti il presidente del circolo Arci Unione Operaia di Colonnata Francesco Mariani, l’assessore alla cultura del Comune di Sesto Fiorentino Jacopo Madau e la curatrice dell’esposizione Antonella Ortolani.  

Nata a Firenze, dove vive e lavora, Maria Rina Giorgi persegue, fin dall’adolescenza, lo studio dell’arte figurativa, dando inizio ad un percorso mai abbandonato di attività nella pittura e nella grafica. 
Dal 1972 al 1976, anno in cui si è diplomata, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze con Vinicio Berti prima e con Silvio Loffredo poi. 
Dal 1971 al 1973 ha poi insegnato libere attività artistiche presso una scuola secondaria di primo grado, dando inizio ad un percorso che l’ha portata anche verso lo studio della pedagogia, interessandosi, con doppio sguardo, all’illustrazione dei libri per l’infanzia.

«Siamo davanti ad un’artista multiforme – ha osservato Ortolani - e nella mostra che inaugureremo domenica prossima sarà possibile ammirare un campionario, assai ampio, delle molte vie che la creatività di Maria Rina Giorgi ha saputo percorrere fruttuosamente».

Accanto ai dipinti, si troverà, una rappresentanza della sua vasta produzione grafica: incisioni, lavori a matita, a penna, a pastello, ed altro ancora. E poi, l’invenzione delle figure, modellate con una personale tecnica di lavorazione della carta: creature dolci-amare che rendono conto di una vis ironica graffiante, che permette all’artista di scherzare con la realtà.

 «Maria Rina Giorgi non è un’autodidatta – ha continuato la curatrice della mostra - tutt’altro, ha avuto magisteri prestigiosi, dentro e fuori dall’Accademia, frequentata negli anni in cui ancora l’eco della temperie delle antiche lotte, tra astrattisti e figurativi, non si era spenta del tutto. Vinicio Berti, Natale Filannino e Silvio Loffredo sono stati i maestri, tra loro diversissimi, che Maria Rina Giorgi ha frequentato; protagonisti di una scena artistica in cui Firenze aveva un ruolo di primo piano, e che le hanno fornito gli strumenti per la sua personale ricerca.
L’artista non ha mai avuto alcun bisogno di scegliere tra le due strade, ma percorre semmai la sua “unica via” senza avvertire alcuna frattura tra i due linguaggi, bensì considerandoli, come lei stessa afferma, parte di un unico pensiero». E questo lo avvertiamo subito guardando i lavori in mostra.

«Si comprende a un primo sguardo come si sia davanti a un’arte “piena” - ha continuato Ortolani - a un dirsi che si è nutrito di molte lingue, che ha navigato fruttuosamente in molti mari, in un periplo che l’ha portata a confrontarsi tanto con la tradizione che con l’arte delle Avanguardie, per poi rifrangere in urgenze del tutto personali».

Maria Rina Giorgi ha intrapreso la sua personale avventura, che l’ha portata a percorrere strade apparentemente parallele (quali visione figurativa e astrazione) per approdare ad uno stile riconoscibilissimo, che dà conto di tutto, compreso il suo rapporto con la materia. Tra le molte opere in mostra alla Soffitta, spiccano, poi, tra le prove più potenti, i ritratti.

«In altre esposizioni abbiamo potuto vedere la copiosa messe di autoritratti che l’artista ha realizzato, con tutte le tecniche a sua disposizione. Stavolta – ha rivelato Ortolani - ne possiamo vedere solo uno (“Autoritratto”) recentissimo, realizzato in tecnica mista su carta gialla.

Tutto ciò ci basta per comprendere la natura della sua ricerca, in termini di figura umana: il segreto indefinibile che ogni volto umano reca in sé. Immagini radicali che, direbbe Barthes, diventano fatti. E questo, certamente, può consentire illuminazioni, o rivelare oscurità profonde e insondabili, di fronte a cui l’artista non può che riconoscersi o negarsi.

È un corpo a corpo con l’esistenza, la propria attraverso quella degli altri – ha chiosato - talvolta la sofferenza accartoccia e getta via ogni fiducia. Ma la necessità dell’arte ritorna sempre, come unica possibilità di intuizione totale della vita»

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