Ha 23 anni e ha trovato il lavoro che le ha cambiato la vita. Alice Guanci, pratese, figlia unica dell’architetto e artista Giuseppe, da sei mesi lavora ai telai della ditta Nova Fides - Paola Textile di Montemurlo. Come rivela in questa lunga intervista, la sua è stata una scelta non una necessità che va in controtendenza ma che l’ha resa realizzata e felice di poter finalmente impegnarsi in un lavoro manuale dove si crea e che le dà la possibilità di assecondare le sue attitudini. Le sue risposte fanno riflettere soprattutto in un periodo pieno di paradossi come quello che sta vivendo il distretto pratese in cui il tessile va a gonfie vele ma gli operai non si trovano. La storia di Alice va in controtendenza e ha il merito di sfatare molti luoghi comuni che circolano sui giovani.
Alice qual è stato il suo percorso formativo?
«Il mio percorso scolastico è iniziato con il liceo artistico a Pistoia dove, in realtà, ho appreso qualche nozione sui telai a mano, quelli di legno con la spola. Il tessuto che veniva fuori da quei fili che si intrecciavano grazie alla maestria di una professoressa che, in realtà ai tempi non avevo in simpatia, mi affascinava.
A scuola ero attratta dalle attività manuali, mi piaceva toccare il tessuto, scegliere il filo insomma realizzare qualcosa con le mie mani. Finito il dramma delle superiori dove ho capito che non ero assolutamente portata a stare con la testa china sui libri ho intrapreso l’università e ho scelto il percorso di designer industriale a Calenzano sotto il dipartimento di architettura, ripercorrendo un po’ le orme del mio babbo.
Mi era stata presentata come facoltà non totalmente ma prevalentemente manuale quindi l’idea di realizzare gli oggetti mi affascinava ma non è stato proprio così. C’era molta teoria e per me è un limite, inoltre quando non riesco nelle cose mi demoralizzo tantissimo e tendo a mollare al punto che ho iniziato a lavorare tralasciando un po’ l’università. Subivo anche il confronto con i miei coetanei amici che riuscivano nello studio e che si erano già laureati mentre io rimanevo ferma ai miei sei esami dalla laurea che mi mancano tutt’ora» .
Allora ha intrapreso un percorso diverso?
«Ho deciso di fare quello che mi piaceva e sono andata a lavorare in un bar dove il titolare era pasticcere e mi sono appassionata a questo settore. Per circa otto mesi ho lavorato presso una nota pasticceria di Prato. Ho imparato tantissimo ma non mi sentivo a mio agio. Nel frattempo ho ripreso gli studi, orientandomi di nuovo sulla moda e ho trovato lavoro in un ufficio che trattava la comunicazione fra chi compra per il negozio e lo stocchista ma purtroppo mi sono dovuta confrontare di nuovo con la teoria, nonostante mi applicassi, ci abbia perso tempo e dedicato tanta pazienza, non riuscivo e alla fine ho mollato, complice il fatto che il contratto non mi è stato rinnovato.
Dopo il lockdown ho pensato e deciso di andare a lavorare. Tutti i miei coetanei avevano trovato la loro strada, io no. Non sapevo cosa diavolo fare della mia vita, non avevo un obiettivo e quella fase difficile mi ha spinto a capire me stessa.
A quel punto presa dalla disperazione ho pensato che avrei dovuto provarle tutte e ho preso in considerazione anche la possibilità di tentare la fabbrica. Quindi ho inviato i curricula ad alcune ditte tessili fino a che non sono arrivata a quella dove lavoro oggi.
Ho fatto il colloquio con una persona eccezionale che mi ha fatto sentire a casa. Da qui l’approccio ai telai ed è stato subito amore. Sono stata la prima ragazza ai telai in tessitura » .
Non ha avuto alcun ripensamento o paura di non farcela?
«Trovarmi a lavorare con trenta uomini adulti è stato un trampolino di lancio per provare a vedere fino a dove poteva arrivare il mio carattere. E’ stato bello e brutto perché all’inizio avevo paura un po’ di tutto anche di apparire troppo piccola e inadeguata.
Mi trovavo con persone più adulte di me, cresciute con una mentalità diversa dalla mia. Doversi confrontare con queste persone, all’inizio, mi spaventava. Paura che è svanita quasi subito perché mi sono trovata molto bene, sono andata d’accordo con tutti e ai miei colleghi voglio un bene dell’anima ma soprattutto mi sono sentita a casa» .
E con il lavoro com’è andata?
«Il lavoro mi è cominciato a piacere molto di più di quello che pensavo e ci riuscivo al punto che poco dopo mi hanno proposto i turni. Motivo di grande orgoglio per me: quella proposta era quasi una rivalsa nei confronti di tutto quello che avevo passato: professori a cui non piacevo, amici che si erano laureati.
Finalmente riuscivo anche io. Questo mi ha dato tante energie al punto che al lavoro ci vado ridendo. Io non ricordo un momento della mia vita più spensierato di questo perché sto davvero tanto bene in fabbrica. Qui ho trovato la serenità che mi mancava.
Ovviamente c’è la fatica, la stanchezza, si ma in maniera positiva e questo me lo ha fatto capire mio babbo, quando un giorno, mi ha sentito cantare “Maledetta primavera” mentre tornavo a casa dopo il turno. Sono strafelice del mio lavoro e mi brillano gli occhi quando parlo di questa ditta. Ovviamente ci sono i pro e i contro ma i pro sono tantissimi e mi fanno dimenticare i pochi contro» .
Come mai, secondo lei, i giovani non vogliono andare a lavorare in fabbrica?
«E’ sicuramente difficile trovare giovani che vogliono fare questo lavoro, l’operaio viene considerato un mero esecutore. Nella ditta dove lavoro ci sono persone che lo hanno fatto e lo fanno con passione e sono loro dalle quali ho preso e prendo esempio perché per fare l’operaio ci vuole anche la passione e quando c’è il lavoro non pesa .
Se riesco a farlo io questo lavoro che peso 50 kg lo può fare chiunque ed è un peccato che i giovani non si avvicinino alle attività manuali che hanno il pregio di tenerci svegli e attivi mentalmente e fisicamente. Serve attenzione, le cose vanno organizzate e pensate per bene. Purtroppo noi giovani ci scoraggiamo.
Ma bisogna andare oltre. Non è vero che i ragazzi non hanno voglia di lavorare, non si può fare di tutta un’erba un fascio. Ne è un esempio la mia collega Aurora di 21 anni, arrivata in ditta dopo di me. E’ magnifica. Come lei ce ne saranno altri» .
Ma cosa le piace dei telai?
«Tutto. Ci sono sempre cose nuove da imparare non è una catena di montaggio, c’è sempre una variabile; è sempre diverso perché cambiano i disegni, le armature, i colori, i fili.
C’è la funzione nuova da imparare. Non è monotono ma sempre in divenire e io, che sono curiosa, cerco di apprendere il più possibile. Non fermarsi mai alla prima cosa ma andare sempre oltre.
Dell’ambiente mi piace il gruppo, siamo colleghi e spalle su cui poter contare, alle quali puoi dire oggi sono giù di morale e alle quali puoi parlare sinceramente specialmente con gli uomini che ti chiedono come stai la mattina e ti fanno sentire accolta. Quando è andato in pensione un operaio ho pianto perché ci si vuole bene e questo fa sì che il gruppo oltre che divertente sia anche funzionale» .
I suoi amici cosa pensano di questa sua scelta?
«I miei amici credo abbiano pensato che io fossi pazza come se questo lavoro fosse l’ultima spiaggia. Ho cercato di far capire alle mie amiche che a me lavorare in fabbrica piace.
Caratterialmente, devo dire, che sono molto maschiaccio quindi trovarmi in un ambiente dove essere maschiaccio non è un lato negativo del mio carattere è stata magia pura. Mi sono sempre confrontata con ragazze molto femminili ma io non ho questo garbo principesco e ho sempre vissuto in maniera negativa questo confronto con le altre .
Non so se i miei amici mi hanno capita ma so che ho trovato una cosa rara: la serenità » .
Molti giovani lavorano attraverso i social o altri siti, cosa ne pensa?
«Sono poco social e non riesco a vedere queste piattaforme come opportunità di lavoro. Non potrei, condividere tutta la mia vita con persone che sono lì a giudicare. Apprezzo chi lo fa perché ha molta fiducia nel prossimo. Io ho bisogno di creare con le mie mani, questo mi dà soddisfazione ed è questo meccanismo che mi fa stare bene.
Il social lo vedo come una piattaforma dove ti esponi per farti giudicare. Per me il lavoro deve essere duraturo, non effimero ed è quello che posso fare con le mie mani ».
Il suo desiderio è quello di imparare sempre di più dal suo lavoro
«Sto imparando a smontare i telai affiancata da chi ne sa più di me. Mi piace arrivare alla soluzione. Bisogna essere curiosi in questo lavoro, altrimenti non si impara niente.
La variabile devi capirla per imparare. Sono una tessitrice, riprendo un filo che si rompe , risistemo il filo di trama e di ordito, taglio le pezze ma la realtà dei fatti è che mi interesso anche ad altro perché il mio obiettivo è quello di apprendere per diventare assistente ovvero conoscere il telaio a tutto tondo, saper cosa fare in ogni situazione.
Mi piacerebbe imparare ad annodare le tele. Piano, piano sto imparando e mi diverto veramente tanto. Non avrei mai pensato di appassionarmi così a questo lavoro. Lavoro in fabbrica dal dicembre 2022, ma ho l’impressione di esserci sempre stata da tanto mi trovo bene» .
I suoi come hanno reagito di fronte a questa sua scelta?
«I miei hanno dovuto reagire al fatto che volessi lavorare in fabbrica e al fatto che volessi fare i turni. Erano titubanti all’inizio, rassegnati come se la loro figlia non avesse ambizioni ma quando hanno visto che mi brillavano gli occhi quando parlavo dei telai e che ora contenta e allegra hanno capito che per me era un nuovo inizio. Non mi avevamo mai visto così soddisfatta. Riprenderò anche a studiare sicuramente un percorso attinente al tessile. Vorrei essere la prima operaia laureata di questa ditta».
Andrà avanti in questo suo percorso quindi?
«Sì, io non sono operaia perché ne ho bisogno ma sono operaia per scelta. Sono una persona con una cervello e ho scelto di lavorare in fabbrica perché mi piace. Voglio anche sottolineare il fatto che se sto così bene è merito di tutto il gruppo e lo dico con gli occhi lucidi.
Sono i miei trenta colleghi e chi li ha scelti per lavorare a farmi sentire bene. Mi sento parte di una grande famiglia. Mi sento a casa».